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RESTAURO della Spinetta Arpicordo
“Patavini MDLIIII”

Lo strumento è pervenuto per il restauro (del quale è stata richiesta la sovrintendenza della Fondazione) in stato di totale abbandono, ma si è rivelato ad una prima ricognizione di rilevantissimo interesse storico-estetico ed integro nella quasi totalità dei suoi elementi costitutivi.

L’iscrizione sulla barra coprisalterelli reca la dicitura Patavini MDLIIII. La semplice indicazione dell’autore, al genitivo com’era spesso consuetudine dell’epoca, ha portato a prendere in considerazione i due costruttori di arpicordi attivi nel ‘500 nel Veneto conosciuti e menzionati come Patavini: Francesco e Antonio dei quali si sono conservati due arpicordi di simile fattura e della stessa epoca.

L’esame e la comparazione con l’arpicordo attribuito a Francesco, custodito al Museo Correr di Venezia, e con l’arpicordo di Antonio esposto al Museo degli strumenti musicali di Brusselles ha fatto propendere per una sua attribuzione ad Antonio per analogie costruttive e similitudine negli elementi decorativi. Inoltre il “Patavinus” Francesco era solito aggiungere, per una sua più chiara identificazione, l’appellativo “Ongaro”.

Il termine Arpicordo, menzionato da Vincenzo Galilei (che ne attribuiva il significato al fatto che lo strumento si presentava come un’arpa coricata) è spesso citato in atti e documenti di dell’ambiente veneto del XVI secolo: si ha notizia di una ventina di costruttori di Arpicordi nella sola Venezia. Pochi esemplari sono rimasti, custoditi in Musei e collezioni private.

Lo strumento ha forma pentagonale ed è inserito in una cassa trapezoidale. La cassa reca sulla parte interna del coperchio un dipinto coevo attribuito ad Andrea Meldola detto Lo Schiavone, attivo a Venezia nel XVI secolo, del quale si conosce l’intensa attività anche come pittore e decoratore di mobili. Il restauro è stato affidato:

  • a Giuseppe Tolin, per il consolidamento strutturale dello strumento e la riparazione della Tavola armonica;
  • a Walter Barbiero per l’integrazione delle applicazioni in avorio, gli intarsi, le cornici e le due sculture lignee;
  • al settore Studi e Ricerche della Fondazione Musicale Masiero e Centanin per l’apparato meccanico e la ricognizione e ricerca dei materiali;
  • a Biagio Restano e Valeria Saccarola della Ditta Labores Restauro Beni Culturali per il restauro della Cassa levatora, delle decorazioni pittoriche e del dipinto sull’interno del coperchio. Davide Banzato, Direttore del Museo Civico agli Eremitani di Padova, ha redatto una relazione sul dipinto.

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